1 – LA DEMOCRAZIA

Se immaginiamo l’Amministrazione dello Stato come il sistema nervoso del corpo umano, i Comuni rappresentano i nervi periferici; quelli che hanno il compito di rilevare con la massima sensibilità possibile tutto quello che succede e trasmetterlo al cervello. E viceversa, fare in modo che tutto quello che viene deciso a livello centrale venga conosciuto ed applicato in periferia. Ma non solo: il compito più importante di un Comune è quello di far sì che una comunità non sia solo un gruppo di case e di strade, ma un sistema vivo e capace di discutere, identificare e scegliere le proprie priorità ed i propri obiettivi in base alle risorse disponibili. Il Comune è la manifestazione dello Stato più vicina ai cittadini; spesso è l’unica occasione in cui la politica può svincolarsi dagli schieramenti nazionali e concentrarsi su tematiche concrete. E’ l’articolo 5 della Costituzione a dirci questo: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo”. E’ lo stesso Presidente Mattarella a ricordarci che “Gli ottomila Comuni sono il tessuto connettivo della nostra Repubblica. Dal più grande al più piccolo hanno tutti la medesima dignità. Rappresentano, nel loro insieme, le differenti esperienze presenti nel Paese e la vocazione all’unità.”.

La fusione dimezzerebbe il numero di consiglieri, assessori e sindaci per ogni abitante, dandoci in cambio solo la nuova “assemblea territoriale”, un organo privo di efficacia amministrativa. Tornando all’esempio iniziale: se potessimo progettare a tavolino il corpo umano, sarebbe preferibile avere meno nervi, anche se più grandi? Probabilmente no: il nostro organismo perderebbe molto in termini di sensibilità e reattività all’ambiente che lo circonda. I nostri due Comuni hanno già una dimensione ottimale in termini di rapporto spese/servizi. Rinunciare a tutto questo per inseguire un non meglio precisato “maggior peso politico” (un comportamento che è stato giustamente definito “bullismo istituzionale”) ci priverebbe di un importantissimo strumento di partecipazione.

 2 – LE DIMENSIONI DEL COMUNE

In Italia esistono oltre 8.000 Comuni di cui oltre il 70% ha meno di 5.000 abitanti. Ma non è corretto dire che in generale l’Italia soffre di eccessiva frammentazione: il numero medio di abitanti per Comune nel nostro Paese è, al contrario, nettamente superiore a quello dei nostri partners europei. Inoltre i piccoli Comuni rappresentano in molti casi un presidio indispensabile per conservare non solo l’identità e le tradizioni, ma la stessa permanenza sul posto della popolazione. Pensiamo cosa sarebbe dei piccoli Comuni montani, già soggetti ad un forte spopolamento, se gli abitanti fossero privati anche del loro più importante luogo di aggregazione, il Municipio.

Ma tutto questo non riguarda Castenaso (15.000 abitanti) nè Granarolo (12.000). I nostri Comuni non sono affatto piccoli, tant’è che entrambi hanno ottenuto di recente il titolo di Città.

La fusione è uno strumento pensato per risolvere i problemi di bilancio dei Comuni troppo piccoli per mantenersi, ma nel nostro caso si tratta di una misura usata fuori dal contesto per cui è stata concepita: i nostri sindaci vorrebbero somministrarci una medicina per una malattia che non abbiamo. Come quegli atleti che, senza averne necessità, prendono anabolizzanti per gonfiarsi i muscoli; con risultati per la salute spesso molto discutibili. 

3 – I COSTI

Castenaso ha circa 15.000 abitanti e Granarolo circa 12.000. Tutti gli studi disponibili sull’argomento ci confermano che la nostra è la dimensione ottimale per quanto riguarda il rapporto fra le spese correnti ed il numero di abitanti. Le spese pro capite (per ogni abitante) sono alte nei piccoli Comuni, poi tendono a scendere e restano relativamente basse nell’intervallo fra 9.000 e 20.000 abitanti per poi tornare a salire. Mediamente le spese correnti in un Comune di 27.000 abitanti, l’ipotetico Comune fuso, sono più alte del 5% rispetto a Comuni grandi come i nostri. I promotori del referendum non hanno effettuato analisi comparative per dirci come viene speso quel 5% in più. In burocrazia? In servizi ai cittadini? Probabilmente l’uno e l’altro: non lo sapremo mai con certezza, visto che lo studio di fattibilità non ha affrontato questo tema. Questo avrebbe dovuto invece essere il primo aspetto da analizzare da parte di chi definisce la fusione un’ “opportunità” ma ha (volutamente?) dimenticato che un Comune più grande è una macchina amministrativa più complessa ed i “costi della politica” tendono a salire, non a scendere. Forse non si è voluto rispondere a queste domande proprio perchè le risposte sarebbero state poco incoraggianti.

E poi ci sono i costi di transizione: quanto spenderemmo per riorganizzare gli uffici, formare il personale, spostare gli archivi, adeguare i software, ecc.? Questa domanda è stata posta più volte durante i lavori di Commissione, ma anche su questo tema non sono arrivate risposte. 

4 – I RISPARMI

Lo studio Spisa sul progetto di fusione, di cui parleremo più avanti, prevede (molto ottimisticamente) circa 300.000 euro annui di risparmi nella fase iniziale. Si tratta di poco più dell’1% sul totale dei due bilanci comunali. E’ come se due artigiani che fatturano 50.000 euro all’anno ciascuno si unissero in società per risparmiarne complessivamente 1.000. Lo stesso sindaco Sermenghi, nel corso di un incontro pubblico, ha ammesso che non si tratta di una cifra significativa. Perciò, più tardi, i volantini promozionali distribuiti dai due Comuni hanno azzardato una previsione molto superiore: un milione all’anno di risparmi, nelle fasi successive. A specifica richiesta Sermenghi ha precisato, senza fornire il dettaglio dei conteggi, che queste ultime sono stime “interne” realizzate dagli uffici comunali su richiesta degli stessi Sindaci. Sono stime di parte, quindi, ed assolutamente non confrontabili con i dati statistici generali che, come abbiamo già visto, indicano invece un aumento dei costi. 

5 – LO STUDIO DI FATTIBILITA’

I nostri sindaci hanno commissionato alla Scuola di Pubblica Amministrazione dell’Università di Bologna (Spisa) uno studio di fattibilità sulla fusione. Per propria stessa ammissione lo studio, costato 21.000 euro, si propone di esaminare solo “i miglioramenti conseguibili, i possibili vantaggi nella prospettiva della fusione”. Non i potenziali rischi o i possibili peggioramenti nel rapporto con i cittadini. Si tratta di un bilancio incompleto, come se avesse la colonna del Dare ma non quella dell’Avere. I tecnici della Spisa, professionisti indubbiamente qualificati, hanno però sofferto di un pregiudizio positivo nei confronti dell’argomento, dando per scontato quello che scontato non è: cioè che la fusione sarebbe vantaggiosa per le nostre comunità. Ci hanno spiegato “come” dovremmo fare la fusione, ma non il “perchè”.

E tutto sommato non è stata una sorpresa scoprire che uno degli autori dello studio, ben lungi dall’essere uno studioso neutrale, è invece un attivista politico dirigente di un coordinamento nazionale che promuove le fusioni. Insomma, abbiamo speso 21.000 euro per chiedere all’oste se il suo vino è buono. 

6 – I CONTRIBUTI STRAORDINARI

La legge prevede un contributo statale ed uno regionale di durata decennale per i Comuni fusi. La misura massima di questo contributo è leggermente superiore ai 2 milioni annui. L’importo effettivamente erogato dipenderebbe però dai fondi stanziati anno per anno dalla legge di stabilità e dal numero di fusioni realizzate sul territorio nazionale; si sono già verificati casi di Comuni che, dopo la fusione, hanno avuto la brutta sorpresa di vedersi bloccato il contributo. Si tratta di un’erogazione variabile, che dovrebbe oltretutto coprire i costi di transizione e riorganizzazione amministrativa. Con i soldi che restano si potrebbe forse finanziare qualche piccolo progetto, nemmeno la decima parte delle mirabolanti promesse che abbiamo letto sugli ultimi volantini pro-fusione. E poi dall’undicesimo anno ci ritroveremmo con una macchina comunale più costosa e più lontana dai cittadini. I nostri Comuni esistono da due secoli, non ha senso cancellarli per un contributo transitorio. O i vantaggi sono strutturali e definitivi, come definitiva sarebbe la fusione, o non vanno nemmeno presi in considerazione. 

7 – IL PERSONALE DIPENDENTE

Negli ultimi 10 anni il numero dei dipendenti del Comune di Castenaso si è già ridotto di un terzo. Non servono studi particolarmente elaborati per capire che i margini di ulteriore razionalizzazione sono molto scarsi. Si potrebbero realizzare piccole economie di scala nelle mansioni di back office, quelle dove non esiste contatto col pubblico, ma i modesti risparmi sarebbero compensati dalle più alte retribuzioni che verrebbero richieste, in particolare da dirigenti e capi settore.

I promotori della fusione hanno in più occasioni sostenuto che, lasciando i Comuni divisi come oggi, l’Amministrazione avrebbe difficoltà a sostituire i dipendenti che vanno in pensione; secondo loro, infatti il “turn-over” sarebbe bloccato al 25%, ossia un nuovo assunto ogni 4 pensionati. Ad una più attenta verifica, sollecitata dai consigieri di opposizione, è emerso che questo non è vero: Castenaso può sostituire tutti i propri dipendenti che cessano il servizio, con o senza fusione. 

8 – LE PROMESSE

Il 7 ottobre voteremo pro o contro la fusione senza ancora sapere chi amministrerà i nostri Comuni nel 2019. Nonostante questo i sostenitori della fusione promettono, a nome dei futuri sindaci, che i servizi scolastici, sanitari e di pubblica sicurezza non subiranno cambiamenti (come se si trattasse di scelte dell’Amministrazione comunale), che verranno assunti agenti di Polizia municipale, che verranno realizzati licei ed istituti professionali oltre ad una nuova cittadella dello sport, che ai pensionati sarà fornita un’assicurazione gratuita contro i furti, che nuove piste ciclabili e linee bus collegheranno i due Comuni, che le tasse verranno ridotte e molte altre meraviglie.

Da sempre la politica è l’arte di fare promesse impossibili da mantenere. Ma questa volta forse si è passato il segno. 

9 – LO SVILUPPO URBANISTICO

Le attuali Amministrazioni di Castenaso e Granarolo si sono distinte per una forte propensione al consumo di suolo ed alla realizzazione di insediamenti abitativi molto consistenti, nonostante la crisi del mercato immobiliare. La netta sensazione è che si voglia costruire anche in assenza di una reale necessità. La fusione rischierebbe di accentuare questo aspetto. Il progetto di realizzare una nuova strada fra i due Comuni, l’Intermedia di Pianura, è stato solo momentaneamente accantonato e rischierebbe non solo di prendere nuovo impulso, ma di trasformarsi nell’occasione per un’urbanizzazione delle campagne fra Marano e Quarto Inferiore.

Inoltre, con la fusione, Castenaso si farebbe carico dei problemi creati a Granarolo dall’edificazione selvaggia e sregolata legata al piano H11: numerose abitazioni costruite nelle campagne granarolesi senza i necessari servizi di urbanizzazione, il cui adeguamento potrebbe far emergere costi anche rilevanti a carico delle future Amministrazioni. 

10 – I FONDI NAZIONALI ED EUROPEI

Lo Stato italiano e la UE erogano agli Enti locali contributi e sovvenzioni che possono essere destinati a finanziare investimenti o spese correnti.

Le procedure per la presentazione delle domande possono essere piuttosto complesse, è quindi in parte vero che un Comune piccolo può trovare più difficoltà rispetto ad uno di maggiori dimensioni. Ma è anche vero che, da questo punto di vista, la fusione non porterebbe grandi cambiamenti. Il nuovo Comune sarebbe comunque più piccolo, ad esempio, di San Lazzaro, mentre l’organigramma del personale proposto dallo studio di fattibilità sulla fusione non è sostanzialmente diverso da quello attuale. E se in futuro si decidesse di assumere un dirigente particolarmente esperto in fondi UE dovremmo sobbarcarci un ulteriore costo. La stessa cosa che possiamo fare già oggi, senza fusione.

Non dimentichiamo che i Comuni della provincia di Bologna, piccoli o grandi, possono chiedere alla Città metropolitana ed alla Regione consulenze in materia.

Va infine sottolineato che l’erogazione dei fondi è normalmente legata alla presentazione di un progetto; il finanziamento copre quindi una determinata fase della vita di un Comune (realizzazione di una pista ciclabile, sostituzione del software, ecc.) ma non si può evidentemente fare affidamento a regime su queste erogazioni, che hanno carattere periodico limitato. Come abbiamo detto, il Comune fuso avrebbe con ogni probabilità costi di funzionamento a regime più elevati; non avrebbe quindi senso spendere di più in burocrazia ogni anno per poter avere finanziamenti occasionali.

Allora perchè tanta insistenza per poter ottenere in futuro (forse) qualche contributo poco significativo nell’economia della macchina comunale?

Chi cerca di suggestionare i cittadini con l’idea di una Castenaso “più grande e più forte”, più che ai contributi, sta probabilmente pensando alla propria carriera politica: essere sindaco o assessore di un Comune più grande potrebbe essere un trampolino verso traguardi ambiziosi (ad es. il Comune di Bologna). E non si vede perché i cittadini di Castenaso e Granarolo dovrebbero sostenere simili progetti che hanno ben poco a che vedere con l’interesse pubblico. 

11 – LE SCUOLE

Nello studio di fattibilità troviamo una frase che fa riflettere: la fusione permetterebbe di “ottimizzare gli immobili scolastici all’interno dei nuovi confini amministrativi”. Sembra che ci sia solo un modo in cui questa frase possa essere interpretata: in futuro gli edifici scolastici potrebbero essere meno numerosi e più concentrati. Ad esempio potremmo avere una sola scuola media dove oggi ne abbiamo due. I sindaci promettono che le scuole resteranno dove sono; ma non si vede come possano prendere impegni su decisioni che dovranno invece essere prese in primo luogo dal Ministero dell’Istruzione ed in seconda battuta dai loro successori fra 5, 10, 15 anni e così via.

I sindaci assicurano anche che i genitori potranno scegliere, se lo desiderano, di portare i loro figli in una scuola che si trova nell’attuale territorio dell’altro Comune. Basta però leggere lo studio Spisa per capire che questa potrebbe facilmente diventare una necessità e non una libera scelta. 

12 – LE ALTERNATIVE

Ma davvero la fusione è l’unico modo per rendere più efficienti e razionali le Amministrazioni dei due Comuni?

Non dobbiamo immaginare Castenaso e Granarolo come isole indipendenti dal resto del territorio. In realtà, già oggi molte funzioni vengono svolte in collaborazione con altri Comuni. Castenaso ad esempio conferisce i rifiuti ad Hera insieme agli altri Comuni che fanno parte del consorzio Atersir, gestisce la refezione scolastica insieme a Budrio, la Centrale unica di committenza con Molinella e San Lazzaro, le case di riposo con gli altri 16 Comuni dell’ASP Pianura Est.

La gestione associata dei servizi, se attuata correttamente, permette di realizzare economie di scala conservando però l’identità e soprattutto l’autonomia decisionale dei Comuni. E se i risultati non sono quelli sperati si può tornare indietro. Ad esempio il conferimento della Polizia Municipale in Unione Terre di Pianura, insieme a Granarolo e Budrio, dopo pochi mesi ha evidenziato criticità così gravi da spingere Budrio ad uscire; e questo è stato possibile perché l’ingresso in Unione è una scelta reversibile.

Le gestioni associate sono strumenti flessibili, collaborazioni che possono essere interrotte o modificate se non risultano soddisfacenti. Le valutazioni e le scelte verranno prese in futuro dalle Amministrazioni elette di volta in volta dai cittadini.

La fusione no. Si tratta di uno strumento rigido e sostanzialmente irreversibile col quale le due attuali Amministrazioni vogliono condizionare a proprio piacimento il lavoro dei futuri sindaci. Senza nemmeno averlo annunciato nei rispettivi programmi elettorali 2014. Forse è per questo che nella sola Provincia di Bologna 17 Comuni che avevano intrapreso il percorso di fusione l’hanno abbandonato prima di arrivare al referendum; e sicuramente è per questo che la maggioranza dei referendum sulle fusioni tenuti negli ultimi anni hanno visto prevalere il No.

Scegliamo strumenti amministrativi più razionali. Il nostro voto del 7 ottobre sarà decisivo: diciamo no alla fusione.